Quantcast
Channel: Liberi di scrivere » franco forte
Viewing all articles
Browse latest Browse all 6

:: Blogtour Ira Domini. Sangue sui Navigli (Mondadori, 2014) – prima tappa.

$
0
0

Inizia oggi il blogtour dedicato al romanzo storico Ira Domini. Sangue sui Navigli di Franco Forte, secondo volume di una serie di romanzi con al centro le indagini di Niccolò Taverna, notaio criminale della Milano della seconda metà del 500. In questa prima tappa potrete trovare le domande fatte eccezionalmente a Niccolò Taverna stesso, alcuni dipinti e immagini d’epoca legati al romanzo, e un mio articolo, spero abbastanza storicamente rigoroso, sulla cucina del tempo, più alcune ricette originali tratte dal ricettario cinquecentesco Opera dell’Arte del Cucinare di Bartolomeo Scappi. Questo è il secondo blogtour da me organizzato, che è stato possibile fare grazie all’impegno e alla collaborazione di altri 3 blogger che qui ringrazio. Noi ci siamo divertiti e spero che anche voi lettori troviate l’iniziativa interessante. Dunque benvenuti in questo viaggio virtuale nella Milano del 1570.

Vecchia Milano navigabile
Niccolò Taverna, benvenuto su Liberi di Scrivere. Questa intervista attraverso il tempo e lo spazio è stata possibile grazie all’aiuto di colui che redige i romanzi che narrano la sua vita e le sue indagini. Ci parli di lei, della sua infanzia, ci racconti qualche suo pregio e qualche suo difetto.

Ho mille difetti e ben pochi pregi, se non quelli che ho ereditato da mio padre, il notaio Amerigo Taverna. E’ grazie a lui se oggi posso ancora esercitare la sua arte, cioè quella di frugare fra le anime oscure che popolano i vicoli della città, e che fanno della vita criminale il loro sordido mondo, in cui sguazzano come topi in fuga dalla peste. L’arte dell’investigazione è un dono, e io credo di averla appresa non solo dalle parole di mio padre ma soprattutto dal suo esempio, dal modo lucido e pacato di spolverare i cuori grinzosi dei dannati per farmi scorgere la luce che alberga in ciascuno di loro.

Ci parli della sua professione di notaio criminale, che studi ha fatto, quali sono i suoi maestri. Sulle orme di chi ha deciso di investigare su misteri e delitti?

Come un garzone di bottega, ho seguito mio padre sui luoghi del crimine, ho appreso da lui l’arte di leggere le macchie di sangue per capire come è stato ucciso un uomo, oppure come legare una corda all’impennaggio di una freccia o di un quadrello, e tenderla per stabilire la traiettoria del dardo. Ma se lo studio delle prove fisiche e dei luoghi del crimine è un valido appoggio al lavoro di un notaio criminale, è ben altro che mi ha insegnato mio padre: è negli occhi e nell’anima delle persone che si cela la verità, dietro le coltri della menzogna. Ed è lì che bisogna insistere e scavare, per risolvere i peggiori casi criminali.

Che strumenti investigativi ha in dotazione un magistrato del 1500. Quali sono le scoperte scientifiche che l’hanno più aiutata?

A Milano siamo all’avanguardia, rispetto al resto del mondo. Nei sotterranei del Tribunale di Giustizia abbiamo un laboratorio de’ dottori che consente di scarnificare i corpi delle vittime e darci la possibilità di esaminare con chiarezza i fori di entrata delle armi omicide nei crani o nelle ossa delle persone, per circoscrivere i possibili assassini. E lo studio del sangue venoso e arterioso, della forza e del raggio di diffusione degli schizzi di sangue, sono una scienza ormai avanzata, che ci permette di capire se una vittima è stata colpita prima o dopo la morte, da quante mani e con quanta forza, per determinare altezza, peso e anche il sesso degli assassini, e lavorare d’ingegno per collegare tutti gli indizi e farne prove. Ma sopra a tutto vige la regola principale di ogni notaio criminale: non sono le apparenze quelle che possono condannare un uomo, ma i dettagli incontrovertibili che si celano dietro la cortina buia di ogni azione criminale.

In che relazione si pone con il colpevole. Che sentimenti prova nei suoi riguardi, cerca di capirne le motivazioni, le debolezze, il contesto in cui compie i suoi crimini, anche i più efferati?

L’assassino è sempre una persona. La vittima anche. E i notai criminali pure. Così diversi, eppure così simili, e dunque lo studio delle emozioni, dei desideri, degli odi e delle paure è fonte costante di informazioni, di tasselli sempre più precisi per arrivare a comporre il grande mosaico di un’indagine. La natura umana è intrinsecamente legata all’atto criminale, e se non riusciamo a capirla, a decifrarla, allora non potremo mai capire il lato oscuro delle persone e dare giustizia al dolore che affligge ogni società civile.

Cos’è la giustizia per lei? Crede che quella umana sia infallibile?

Tutti sono fallibili, per primi coloro che cercano una via per la giustizia. Forse solo chi non ha mai conosciuto il peccato, può riconoscerlo senza possibilità di errore. Per tutti gli altri, ci sono solo indizi e piste vaghe da seguire, nella speranza che l’acume e il fiuto di un notaio criminale possano almeno servire a evitare quanti più errori possibile. Come umilmente cerco di fare io ogni giorno…

Laghetto Santo Stefano a Milano

La vivanda di riso alla lombarda

Per fare una vivanda di riso alla lombarda sottestata (= tostata) con polpe di polli, cervellate (= sorta di salsicce a base di sanguinaccio di porco) e rossi d’uova.
Piglisi il riso nettato nel modo soprascritto e cuocasi in brodo nel qual siano cotti capponi, oche e cervellate; e cotto che sarà di modo che sia sodo, piglisi una parte d’esso riso e pongasi in un piatto grande di terra o d’argento over di stagno, e spolverizzisi di cascio, zuccaro e cannella, e pongasi sopra esso riso alcun bocconcino di butiro fresco e la polpa del petto di cappone e oche con cervellati tagliati in pezzuoli, e rispolverizzisi di cascio, zuccaro e cannella. In questo modo faccianosi tre suoli, e l’ultimo sia bagnato di butiro fresco liquefatto e spolverizzato della medesima composizione, e pongasi al forno che non sia troppo caldo, e lascisi stare per meza ora fin a tanto che pigli un poco di colore, e sbruffisi d’acqua di rose e servasi così caldo. Si può accomodar questo riso in un altro modo: cioè, cotto che sarà, pongasi il piatto di butiro, e ponganovisi fette di provatura (= mozzarella di latte di bufala) fresca non salata, e spolverizzate di zuccaro e cannella e cascio grattato; e sopra di esse pongasi il riso, e sopra il riso ponganosi rossi d’uove fresche crude, secondo la quantità del riso, avendo però fatti i vacui nel riso dove si pongano i rossi dell’uova, e sopra essi rossi ponganosi altre tante fette di provatura spolverizzate di zuccaro, cascio e cannella, e poi coprasi con altro tanto riso. In questo modo si potranno far due e tre suoli, e nell’ultimo pongasi un poco di butiro sopra e facciasi stare sulle ceneri calde, o in forno come di sopra, e servasi caldo
“.

La ricetta della zuppa lombarda.

Per fare una suppa alla lombarda con brodo di carne.
Piglisi pan bianco tagliato in fette di grossezza d’una costa di coltello e lesisene la crosta e facciasi sottostare al forno o sotto il testo (= stoviglia o fornello di terracotta per cuocere vivande); et abbiasi brodo grasso, ove sia cotta carne di vacca e capponi e cervellate, et accomodinosi le fette del pane nel piatto e spolverizzinosi di cascio grattato, zuccaro, pepe e cannella, e ponganovisi sopra alcune fettoline di provatura fresca, overo di cascio grasso che non sia troppo salato, et in questo modo si facciano tre suoli e bagnonisi con il brodo soprascritto, che non sia troppo salato, fin a tanto che sia bene insuppata e coprasi con un altro piatto, e lascisi riposare per un quarto d’ora in loco caldo, e servasi calda con li cervellati tagliati in fettoline e zuccaro e cannella sopra
“.

Tra i dolci la ricetta dei morselletti.

Per fare morselletti, cioè mostaccioli alla milanese.
Piglinosi quindeci ove fresche e battanosi in una cazzuola e passinosi per lo setaccio con due libre e mezza di zuccaro fino fatto in polvere e mezza oncia di anici crudi, overo pitartamo pesto, et un grano o due di muschio (= sostanza profumata ottenuta dalla secrezione ghiandolare del mosco, animale che vive nell’Asia centrale) fino; e mettansi con esse libre due e mezza di farina, e battasi ogni cosa per tre quarti d’ora e ribattasi per un’altra volta; poi si abbiano apparecchiati fogli di carta fatti a lucerne, onti, overo tortiere alte di sponde con cialde sotto senza essere bagnate di cosa alcuna, e dapoi mettasi essa pasta dentro le lucerne o tortiere, e non sia d’altezza più che la grossezza d’un dito, e subito si spolverizzino di zuccaro e ponganosi nel forno che sia caldo, overo quelle delle tortiere cuocanosi come le torte; e come tal pasta sarà sgonfiata et averà in tutto persa l’umidità e sarà alquanto sodetta, cioè sia come una focaccia intera, cavisi dalla tortiera o lucerna e subito si taglino con un coltello largo e sottile a fette larghe due dita e lunghe a beneplacito, e rimettanosi nel forno con un foglio di carta sotto a biscottarsi, rivoltandoli spesso; però il forno non sia tanto caldo come di sopra; e come saranno bene asciutte, cavinosi e conservinosi perché sono sempre migliori il secondo giorno che il primo e durano un mese nella lor perfezione
“.

Vincenzo_Campi_-_Still-Life_-_WGA3828

La cucina milanese è senza dubbio figlia di una cucina povera, ma non per questo meno saporita di molte altre cucine regionali. E spesso dove non può l’ambiente può la leggenda; numerose, per esempio, sono le leggende legate alla nascita del progenitore del risotto alla milanese, o meglio allo zafferano, leggende che forse il tempo ha modificato e abbellito, ma accrescono di folkrore di un piatto che storicamente trova la sua collocazione nell’Opera dell’Arte del Cucinare di Bartolomeo Scappi, cuoco personale di Pio V, che nella metà del ‘500 descrive la ricetta della “Vivanda di riso alla Lombarda”. Va anche detto che la Milano del 1570 fu un’epoca di fame e carestia, con guerre, peste, spopolamento dei campi e delle campagne che certo non contribuirono a rendere la dieta dei milanesi varia e sostanziosa. Ciò non toglie che farina grezza con verze fosse il piatto base di molti milanesi assieme alla trippa, alla cassoeula di carne di maiale (salsicce insieme a verze, cotiche e costine) e ancora mondeghili, polpettine fritte nel burro, e la famosa cotoletta alla milanese, che troviamo per la prima volta intorno al 1500, alla corte degli Sforza. Tra i dolci il panettone che la tradizione narra nato come “pane dei signori” (pane di “tono”, dal francese pan de ton) era un dolce natalizio a base di pane, che diventò più ricco e più simile all’attuale al tempo di Ludovico il Moro (1452-1508). Anche il pane compariva nelle mense dei milanesi, pur tuttavia essendo il frumento assai costoso, i più poveri facevano il pane anche con farine mescolate a quelle di altri cereali (granturco, miglio, segale, orzo) o anche di legumi secchi come i ceci o farina di patate. Il più noto fu il pan de mej (pane di farina di granturco o di miglio), chiamato anche pan giald, pane giallo. Sempre Bartolomeo Scappi, mia maggiore fonte di informazioni, fu anche colui che per primo introdusse nei ricettari i prodotti del Nuovo Mondo, come pomodori, melanzane, peperoni, creando per esempio la pasta al sugo, oggi simbolo della cucina italiana. Altri piatti tipici milanesi sono l’ossobuco, ricavato dal garretto posteriore del vitello, il vitello tonnato e la già citata zuppa di trippa, chiamata la busecca, fatta principalmente con frattaglie. La costoletta di vitello e con l’osso nacque nel secolo XVI, nella Milano degli Sforza, seguendo la moda di dare ai cibi una coloritura d’oro. Moda che trae origine dalla credenza dei medici medioevali che l’oro facesse bene al cuore, fatto che spinse le famiglie più facoltose a far preparare le carni rivestendole di lamine dorate. Convinzione poi presto smentita, ma per motivi forse estetici o di prestigio conservata.

Prossime tappe:

Seconda tappa: Sognando Leggendo
Terza tappa: Le mele del silenzio
Quarta tappa: Wonderful Monster


Viewing all articles
Browse latest Browse all 6

Latest Images

Trending Articles